L’Antitrust ha avviato una istruttoria nei confronti di Apple per abuso di posizione dominante nel mercato delle app. Lo ha fatto anche per una questione di interfacce e di microtesti. Come questi:
Apple avrebbe progettato le finestre a comparsa di richiesta del consenso alla profilazione in modo diverso a seconda si tratti di app targate Apple o di app altrui.
Conseguenze di questa policy di Apple? Meno consensi alla profilazione raccolti dalle app di terze parti > costi maggiori per gli inserzionisti delle app > meno investimenti pubblicitari > meno introiti per gli sviluppatori delle app.
È una ulteriore conferma: il modo in cui ci sono presentate le informazioni conta, eccome se conta.
Eppure è un aspetto ancora poco considerato da noi legali.
Mi limito al mondo privacy: le linee guida sulla trasparenza con vari suggerimenti sul come dare l’informazione giusta al momento giusto sono del 2018.
Ancora oggi però vedo ne rarissime applicazioni, malgrado una informazione rilevante e contestuale si traduce in un vantaggio per le aziende che la forniscono. Ad esempio, in un aumento dei tassi di conversione nel dare il consenso o nel fornire un certo tipo di dati.
Credo che ciò sia dovuto ad una scarsa conoscenza della materia da parte di chi deve assistere coloro che progettano form e scrivono microtesti. Così le richieste di consenso sono in gran parte dannatamente uguali e poco chiare.
Una visione documento centrica
Come legali siamo abituati ad avere una visione documento centrica (nel caso della privacy, informativa centrica): scriviamo tutto lì e trascuriamo il resto. Se poi la legge ci impone di scrivere un documento riassuntivo delle condizioni legali (fogli informativi di banche e assicurazioni, ad esempio), ci limitiamo a fare un copia e incolla dal documento principale.
Per il principio del minimo sforzo (o, volgarmente parlando, dello zero sbatti) che vale non solo per chi legge ma anche per chi scrive, tendiamo a ignorare che le informazioni che ora infiliamo in unico, interminabile documento potrebbero essere più efficacemente trasmesse se distribuite su più canali e con più strumenti.
Si tratti di testi legali indirizzati ai clienti o ai dipendenti/colleghi, destinatari di policy destinate a non essere lette.
Siamo immersi nel digital da qualche decennio ma ragioniamo ancora in termini cartacei, anzi, di supporto cartaceo per usare una espressione cara ai giuristi.
È in arrivo lo tsumani dell’intelligenza artificiale. Vogliamo limitarci ad affidare alle solite, inutili informative il compito di comunicarne i rischi a chi le usa?
È tempo di provare a progettare nuove soluzioni.
Link e altre cose da leggere
Il provvedimento dell’Antitrust nei confronti di Apple.
Le sentenze sono scritte per “il popolo italiano”?" Un articolo del Post sul linguaggio giuridico.
Le oscure leggi dell’istruzione. Un articolo del solito Claudio Giunta (se non è nella tua biblioteca, ti consiglio il suo “Come non scrivere”, ed. Utet).